Cosa è cambiato nel business dell’abbigliamento con la pandemia

Vestirsi è (anche) una questione sociale e nei due anni di pandemia questo concetto ha assunto connotati diversi e non sempre positivi in termini di guadagni, almeno per chi i vestiti li produce.

Il settore dell’abbigliamento è stato uno dei più colpiti dalle restrizioni anti Covid, complici i numerosi lockdown mescolati alla paura di frequentare luoghi diversi da casa nostra, che alla fine è diventata tutto il nostro mondo: ufficio, famiglia, cinema, palestra. Abbiamo vissuto mesi sempre con le stesse persone e, diciamocelo, a volte è andata anche meglio del previsto. A farne le spese sul serio è stato il nostro guardaroba.

ecommerce abbigliamento

Già, perché tanti, tantissimi di noi hanno tenuto sempre lo stesso outfit: un paio di scarpe comode, pantaloni della tuta, una felpa.
Non avendo più la necessità di cambiarci d’abito per andare in ufficio o per fare serata, ci siamo trovati a non avere più quel bisogno, spostando la nostra attenzione su altro: cucinare, fare fitness e prendere un cane per poter uscire 3 volte al giorno.

Le aziende di abbigliamento si sono trovate di fronte a uno stop all’acquisto mai visto prima nella storia e, superata la difficoltà iniziale, è stata una corsa per cercare nuovi modi di comunicare con la clientela, inventando nuovi bisogni, fino a trovare soluzioni geniali e davvero creative!

Indice

Parliamo un po’ di numeri

Ogni dicembre, la società di consulenza McKinsey insieme a Business of Fashion, pubblica il rapporto The state of fashion e nel 2021 si intravedono segnali di ripresa, principalmente nei mercati di Stati Uniti e Cina. Secondo questa autorevole pubblicazione, l’Italia dovrebbe risalire la china a fine 2022, anche se, con l’inizio della guerra in Ucraina a febbraio e il conseguente aumento dei prezzi di materie prime e
trasporti, le previsioni sono ancora tutte da fare. Sempre in tema di report, l’organizzazione Oxfam, che si dedica alla riduzione della povertà, nel suo ultimo rapporto ha analizzato quanto le restrizioni anti Covid abbiano accentuato le disuguaglianze, tanto da parlare proprio di “pandemia delle disuguaglianze”. Le aziende di moda che sono uscite indenni o addirittura hanno guadagnato più di prima, si sono salvate grazie allo sviluppo dell’e-commerce e ad un target più ricco.

Globalmente il mercato del luxury ha sofferto meno rispetto a quello di fascia media ed economica. Il
rapporto McKinsey ci dice che nella prima parte del 2020 c’è stata una riduzione dei ricavi in termini del
36% per gli abiti economici, del 35% per gli abiti di media fascia, e del 30% per l’abbigliamento più di lusso.
Nel primo anno di pandemia il mercato del lusso è riuscito a mantenere livelli di ricavo in trend con gli anni precedenti, nonostante i viaggi internazionali fossero pari a zero e, si sa che gli acquisti di questo genere, sono legati principalmente al turismo estero.

Come venirne fuori

Durante la pandemia l’unico modo per acquistare, esclusa la spesa al supermercato, era di comprare online e sperare che il brand avesse un e-commerce affidabile e non troppo arcaico. Infatti, le aziende che hanno investito in questo settore della loro attività, hanno visto crescere le loro quotazioni e ridurre le perdite. Oltre alle aziende che vendono solo online, anche i rivenditori che hanno saputo strutturarsi per la vendita sia in negozio che su web, hanno visto premiati i loro
sforzi, offrendo un ulteriore canale di vendita ai loro clienti.

Inditex è il gruppo di fast fashion proprietario di Zara ed è un ottimo esempio di quanto i succosi investimenti fatti dal colosso per rinforzare le vendite online abbiano dato i loro frutti. Il gruppo, ancora prima della pandemia, aveva destinato investimenti importanti per l’integrazione tecnologica delle vendite online, perciò è riuscita ad ottimizzare la quantità di merce nei magazzini, in un momento in cui i negozi si alternavano tra spiragli di aperture e chiusure continue.

Acquisto take away

La pandemia, tra le altre cose, ha accentuato la paura verso i luoghi affollati, generando in alcuni soggetti vere e proprie fobie.
Per questo motivo, l’in-store pickup ha avuto particolarmente successo: prenoti il tuo capo
direttamente dall’app o dal sito del negozio e poi passi in negozio per il ritiro.
Anche grazie a questo espediente, il gruppo Inditex ha potuto recuperare pienamente il calo di vendite subito nel 2020, tornando già nel 2021 ai livelli pre pandemia.

Insomma, il lockdown ha dato molti grattacapi al settore moda e abbigliamento, ma ha anche generato nuove consapevolezze.
L’acquisto di abiti streetwear e loungewear è la punta di un iceberg di un movimento simbolico e identitario. Con la diffusione di questo nuovo approccio a se stessi, è nata la necessità di accettare la propria immagine e il proprio corpo, identificandolo sempre meno in stereotipi faticosi e lontani dalla verità e avvicinandolo sempre di più ad una realtà imperfetta ma reale, facendo esplodere la
body positivity.

Alla necessità di acquisto di nuovi capi di abbigliamento, nei due anni di pandemia la scelta è andata in maniera significativa sugli abiti comodi.
L’abbigliamento streetwear era già in crescita prima che arrivasse il Covid, così come l’acquisto di abiti sportivi e, con la mancanza di occasioni mondane e sociali, le persone si sono orientate verso scelte di abbigliamento più comode e informali.
Secondo il parere della coreografa Jody Sperling, il desiderio di stare comodi non sparirà con la fine della pandemia, tanto che a febbraio 2021 la rivista Forbes scriveva che anche i brand più sofisticati nell’ultimo anno hanno aggiunto o rafforzato le sezioni di questa tipologia di abiti, prevedendo addirittura un’espansione significativa del mercato delle tute da ginnastica tra il 2020 e il 2026.

Ci vediamo stasera?

Ancora una volta il gruppo Inditex, a differenza del suo concorrente H&M, ha capito che con il graduale ritorno alla vita sociale, le persone avrebbero ricominciato ad acquistare abiti per uscire, eleganti e alla moda mettendo in atto un determinato comportamento d’acquisto successivo ad eventi traumatici come guerre o epidemie, il revenge spending (spesa di riscatto).
Da qui deriva il termine revenge shopping, atto per il quale dopo i periodi di lockdown, molte persone hanno comprato vestiti più costosi o in quantità maggiore per premiarsi e riscattare sé stesse, simbolicamente, dallo stress e dalla sofferenza accumulati.
È giusto precisare che questa reazione ha una durata limitata nel tempo e, tanto per tornare al tema delle
diseguaglianze, riguarda solo un certo segmento di persone, ovvero quelle che possono spendere.

Per concludere, nella prospettiva futura in cui l’e-commerce diventi la fonte principale di acquisto
portando il mercato a un livello globale, confidiamo che le aziende produttrici sappiano dare sempre più attenzione alla sostenibilità ambientale e al trattamento economico della forza lavoro, per rendere questa occasione una vera opportunità per tutti gli ingranaggi che lo muovono.

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